FRANCESCA RIGOTTI
Filosofa e saggista, da anni medita sulle piccole cose di tutti i giorni, sulla quiete e l'oscurità. «Perché presto il lusso non verrà più misurato in denaro, ma in qualità della vita».
di Laura Barsottini
Negli anni del boom era la tv o la 500. In alcune zone dell'Africa, è un bicchiere di acqua potabile. I generi di lusso cambiano secondo le latitudini e le epoche ma, oggi, almeno in Occidente, il bisogno sempre più urgente è avere tempo per sé. Francesca Rigotti, docente di dottrine politiche alla facoltà di scienze della comunicazione dell'Università della Svizzera italiana a Lugano, da anni dedica le sue riflessioni filosofiche alla vita quotidiana, al silenzio, al buio, alle piccole cose. «Il lusso, domani, non sarà più dato dal denaro o dai rubinetti d'oro» spiega «ma da una buona qualità della vita». Nata a Milano nel 1951, Rigotti abita fra Göttingen, in Germania, e Cargiago di Ghiffa, un piccolo paese sul Lago Maggiore, «in due case sgarrupate» racconta «ma dove vivo il quotidiano in maniera consapevole. Non sono lussuose in senso stretto, ma sono circondata di cose belle come un pianoforte a coda. Odio la paccottiglia. Per esempio, adoro le finestre con la sezione aurea (un rapporto matematico divenuto criterio di geometrica armonia, ndr)». Da 27 anni vive con un neurofisiologo tedesco «alto due metri» dice «che mi ha dato il lusso di avere quattro figli, tutti biondi con gli occhi azzurri».
Perché sta cambiando il concetto di lusso?
«Le persone sentono sempre il bisogno di quello che più manca loro. Nella nostra società godiamo tutti di un certo benessere, ma alcune cose che una volta erano risorse oggi si sono trasformate in fonti di disagio. Prendiamo ad esempio l'illuminazione nelle strade. Nel secolo scorso è stata una grande invenzione. Oggi invece ci sono troppe luci, ovunque».
È inevitabile che il benessere si trasformi in malessere?
«No. Ma si tende a pensare, come recita un verso del poeta romantico Hölderlin, che "là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva", cioè che con il pericolo cresce anche l'antidoto al pericolo stesso. Io non sarei così ottimista. Tendono a convincerci che le fonti di malessere siano conseguenze inevitabili del progresso... Non è vero. Si tratta di governare gli eventi che ci circondano».
Lei ha partecipato alla seconda edizione del Festival del silenzio di Treviso.
«Il silenzio non è da considerare come assenza. Il silenzio ci appare come qualcosa di solido, che esiste e viene interrotto dalla parola, dal suono, ma non è solamente la negazione del suono e della parola, si realizza in se stesso, non è lì per altro o per altri. Proviamo a pensare come sarebbe bello avere la libertà di annoiarsi in silenzio. O la libertà di poter fare una passeggiata nel buio. Ecco, oggi manca la libertà di scegliere il silenzio e il buio».
Un suo libro si intitola La filosofìa delle piccole cose. Anche queste sono lussi da recuperare?
«Certo, il rapporto con le cose di tutti i giorni è importante.
Riflettendo sul loro uso, si può scoprire molto sul pensiero umano, quindi su se stessi e sui propri bisogni».
Nella sua opera lei distingue fra attività maggiori (maschili) e minori (femminili)...
«Nel femminismo esiste una filosofia della differenza, ma non mi interessa. Noi donne siamo state relegate in universi di fornelli, cura dei bambini, assistenza ai malati. Negli anni 70 Elena Gianini Belotti pubblicò un grande libro, Dalla parte delle bambine, nel quale si chiedeva se le donne siano "per natura" come sono state per secoli o se non siano invece semplicemente soggette a costrizioni storico-sociali. Preferisco ammettere di non saperlo. Certo, i tempi stanno cambiando anche da questo punto di vista e gli uomini assumono atteggiamenti storicamente "femminili". Concedendosi, ad esempio, anche il lusso di piangere».
«Sarebbe
importante
ritrovare
la libertà
di camminare nel buio».