E ZITTI ZITTI A TREVISO HANNO FATTO UN FESTIVAL
A Palazzo Bomben, da oggi a domenica, la seconda edizione della manifestazione: mostre, convegni e aperitivi musicali (con cuffie)
di Eva Grippa
Onore al professor Stuart Sim, docente alla University of Sumterland, che ha dichiarato guerra al rumore con un Manifesto. Qualcosa di simile, però, un atto di denuncia ma anche una dichiarazione di intenti, era già stato elaborato, lo scorso anno, dagli organizzatori del Festival del silenzio che - oggi a Palazzo Bomben, Treviso (www.festivaldelsilenzio.org) parte proprio da quei documento per dare il via alla seconda edizione della manifestazione. Un cartellone di eventi per sentire con altri sensi. A partire dalia vista, con la città tappezzata dai manifesti sul silenzio realizzati da dieci studi grafici italiani. Senza dimenticare i piaceri della vita, come il gusto, che sarà celebrato da aperitivi a base di spritz durante alcuni party in cui la musica si ascolterà solo in cuffia. Per l'apertura del festival è stata coinvolta anche Torino, dove il tema è quest'anno al centro di una serie di eventi a partire da Silenzio. Una mostra da ascoltare, organizzata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
Il programma del Festival di Treviso prosegue con gli incontri dì domani, sabato 29, sui significati della parola silenzio - tra i relatori Luigi Perissinotto, ordinario di filosofia del linguaggio, e Massimiliano Bucchi, sociologo - e con i workshop di domenica 30 settembre (alle 15.30 e alle 17) tenuti da Duccio Demetrio, esercizi creativi che indagano il rapporto tra silenzio e comunicazione. In
programma anche intrecci con l'arte, la psicologia e perfino con la moda presente al Festival con le T-silence, magliette realizzate apposta da Gas - per colmare un bisogno sempre più diffuso. Ciò che era infatti una novità sorprendente cinquant'anni fa - quando un pubblico sbigottito scopriva il silenzio assistendo alla composizione di John Cage, quattro minuti e trentatré secondi di silenzio del pianista David Tudor davanti al suo strumento - oggi è un'esigenza diffusa. Un bisogno sollecitato da un livello di decibel sempre troppo alto rispetto alla soglia prevista per legge (avverte l'Istat e ammonisce l'Oms), e da alcune nuove tendenze come il boom di vacanze in luoghi spirituali scelte quest'estate da oltre 600 mila italiani in eremi e conventi.
SILENZIO
Una vacanza dell'anima per incontrare un amico. L'Io
Le parole che diventano ostili. La perdita di significato. La violenza delle immagini sempre più invadenti. Libri, film, ricerche scientifiche ci parlano del silenzio come medicina contro lo stress e momento per ritrovarsi. Nei luoghi dello spirito. A cominciare dai conventi...
di Umberto Galimberti
Quando il silenzio propaga la sua eco, le parole rivelano tutta la loro usura. Sarà per questo che presso i Papuani, ci informa il geografo francese Émile Baron, il linguaggio è poverissimo. Ogni tribù ha la propria lingua, il cui lessico si impoverisce di continuo perché, dopo ogni morte, vengono soppressi alcuni vocaboli in segno di lutto.
Nel nostro linguaggio, invece, regna un'economia di profusione e di abbondanza, come se di parole ce ne fossero tante, e tante ce ne saranno sempre, quante se ne vorrà, per tutti. Utopia della crescita illimitata, riflesso dell'economia che, trasposta nel linguaggio, diventa disponibilità senza limite di parole da impiegare come valore d'uso e valore di scambio.
In questa profusione discorsiva, dove non si profila mai lo spettro della penuria, noi finiamo col vivere nel rumore del mondo, in una sorta di sottomissione acustico-visiva per cui sempre meno esiste un posto silenzioso e non inondato da immagini, che consenta all'anima un minimo di introversione.
Penetrando senza essere richiesto, in modo indiscreto e invadente, senza neppure bisogno del nostro esplicito consenso, il mondo delle parole e delle immagini hanno finito col capovolgere il rapporto figura-sfondo, per cui la parola non emerge dal silenzio, e l'immagine dallo sfondo, ma parole e immagini sono divenute lo sfondo da cui ciascuno deve ritagliare un brandello di silenzio per incontrare se stesso.
Privati come siamo della possibilità di non ascoltare e di non vedere, immersi in quel mero recitare insieme ciò che insieme si ascolta senza posa, riconosciamo i nostri organi di senso come organi della soppressione della nostra libertà. E questo perché, ridotti come siamo a puri ripetitori del monologo collettivo, dove chi ascolta finisce con l'ascoltare le cose che egli stesso potrebbe tranquillamente dire, e chi parla dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque, l'anima di ciascuno risulta conforme all'anima dell'altro, e il suo tratto specifico, non avendo un vocabolario a disposizione che non sia il monologo collettivo in cui non riesce a dirsi, tace in quel silenzio che ciascuno sempre più avverte quando incontra se stesso.
Che ne è a questo punto di quei discorsi ulteriori che non si articolano in suoni vocali? Che ne è di quelle rappresentazioni concettuali che avvengono anche in assenza di presenze indicative? Che ne è di quei soliloqui dell'anima dove un io e un tu danno vita a quel dialogo ulteriore che sempre accompagna chiunque voglia incontrare se stesso? Avvolti come siamo dal monologo collettivo, questi spazi, che solo il silenzio sa concedere, non solo si riducono, ma trasformano la natura stessa del silenzio che diventa qualcosa di sospetto.
Mi riferisco a quei silenzi tesi, chiusi, impermeabili alla comunicazione o impenetrabili, propri di chi vive ogni incontro come un pericolo per la propria integrità. E allora si nasconde dietro una fortezza silenziosa che gli consente di tenere a una certa distanza gli altri e di difendersi. Imbavagliato
dal silenzio e quasi protetto, assiste a un mondo che intorno a lui diventa sempre più silenzioso, e se talvolta osa spostare questo muro di silenzio è solo per creare un'atmosfera silenziosa e avvolgente capace di circondare e immobilizzare anche l'altro.
Esiste infatti una geometria del silenzio che penetra come una linea retta e che talvolta respinge, come una linea convessa, tutto quello che incontra. È il silenzio che allontana gli oggetti dell'ambiente che teme, diffondendo intorno a sé un vuoto che le cose non riescono a riempire, oppure è il silenzio insidioso, difficile da descrivere; lo si scopre quando è già penetrato per devastare, far tacere, nascondere, negare l'esistenza di un mondo ulteriore abitato che si vuoi disabitare.
Come la parola, infatti, anche il silenzio ha un suo linguaggio fatto di strumenti nascosti che, secondo il contesto dell'incontro, può essere al servizio della comunicazione od opporvisì, perché come l'invisibile è legato al visibile, così anche il silenzio, che rinvia alla notte, all'ignoto e al mistero, è legato alla vocazione del giorno che dischiude l'avventura della comunicazione. Questa si dischiude quando il silenzio non è semplice non dire, ma ascoltare, sapendo però che un ascolto è un vero ascolto se lascia l'altro nella sua irriducibile alterità. Scopriremo allora che quell'altro siamo anche noi stessi, di cui possiamo accorgerei solo quando saremo in grado di far tacere il discorso che quotidianamente facciamo su di noi, nel tentativo, mai dismesso, di restaurare quell'identità che è nostra costruzione, non nostra sostanza.
Sottratte all'usura, che è il primo prodotto dell'uso quotidiano delle parole, sottratte al loro impiego abituale, le parole cessano di essere nostre abitudini e, proprio sospendendosi come tali, il silenzio le promuove in una diversione di senso, in luoghi del nostro nuovo abitare nelle prossimità dell'inconsueto, dove è dato anche a noi di conoscerci sotto altri profili, in quella dimensione straniera e a noi stessi estranea, che ci è preclusa dal nostro marmoreo e ripetuto nome, che ci inchioda a quell'unico senso edificato per esorcizzare estraneità, alterità, se non addirittura il terrore dello smarrimento di sé.
BOX - VACANZE SPARTANE
Una guida del Touring Club indica gli eremi che affittano celle. Quasi sempre singole
L'IDEALE E' RITIRARSI IN CLAUSURA BUONA CUCINA E TELEFONI MUTI
La vacanza ideale è in clausura. O almeno ci si può provare, se si desidera staccare veramente e prendersi una pausa dalla vita di tutti i giorni. Per chi volesse avventurarsi in questi luoghi dello spirito, dal 17 ottobre sarà in libreria la prima guida su Abbazie, monasteri e luoghi dello spirito (pp. 288, euro 18) edita dal Touring Club, il volume suggerisce, per esempio, l'eremo Le celle di Cortona, in Toscana: quindici stanzette singole con bagni in condivisione, riservate a soli uomini (telefono 0575-603362). Oppure c'è Il Monastero delle Serve di Santa Maria ad Arco, in Trentino, può ospitare fino a 14 persone, ma prevede che gli ospiti rispettino la clausura spegnendo i telefoni cellulari. È inoltre vietato uscire dalla struttura per l'intero soggiorno (telefono 046-4516128). A Perugia, il Convento di Monte Balbe accoglie gruppi da ottobre a maggio in camerate con letti a castello. La cucina è autogestita (telefono 075-690134). In Sicilia, infine, nell'eremo Casa del sorriso a Erice, vengono serviti tipici piatti conventuali preparati con i prodotti dell'orto dei frati Francescani cappuccini (telefono 0923-869136). |
BOX - Se una notte d'estate uno scrittore:
ENRICO BRIZZI E QUEI GIORNI D'AGOSTO
Mia nonna, nata in campagna novanta anni fa, considerava il silenzio uno stato naturale. Per noi, invece, è un lusso di certe ore notturne, del mese di agosto, quando tutti sono andati al mare». Così parla Enrico Brizzi, scrittore poco amante del clamore e del rumore provocato dallo star System letterario: «La lettura si arricchisce di colori quando è affrontata in solitudine e silenzio, quindi il silenzio è una condizione indispensabile per entrare In comunione con un libro. È un amico dei libri». |
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