Letture sotto l'albero
Riscoprire il silenzio con il saggio di Polla-Mattiot
di Paola Molino
Si può pensare di raccontare la propria vita mettendo insieme le parole pronunciate e ascoltate: la voce della mamma, il primo vagito, la prima parola, la prima frase, il primo "ti amo", l'ultimo, eccetera. Ma forse si può ricostruire la vita di una persona in modo ancor più profondo, attraverso la storia delle parole non dette e dei silenzi. Silenzi ascoltati e pronunciati. Silenzi muti e silenzi densi di significati, trepidanti ed eterni, spontanei e meditati, fecondi e sterili. È questo che viene subito alla mente quando si legge "Riscoprire il silenzio - Arte, musica, poesia, natura fra ascolto e comunicazione", il saggio uscito dai tipi di Baldini Castoldi Dalai, a cura della pinerolese Nicoletta Polla-Mattiot. Giornalista, caporedattore al settimanale "Grazia" a Milano, l'autrice non è nuova all'esperienza letteraria avendo già pubblicato, tra l'altro, "Le funzioni comunicative del silenzio", "II silenzio nella tecnica retorica", e "Harold Pinter, il teatro, il pubblico, il silenzio". «Dire che il silenzio comunica è un atto di fede: se ne possono col lezionare evidenze, non dimostrazioni» scrive Nicoletta Polla nell'introduzione; il libro è dunque «il viaggio di un gruppo di amici per sperimentare la semplice convinzione che il silenzio abbia molto da dire, in molti luoghi». Il saggio si compone di due parti. Nella prima l'autrice scandaglia il valore comunicativo del silenzio, attraverso un elenco di usi e ricorrenze del tacere volontario; nella seconda sono proposti i contributi degli psicoanalisti Giuseppe Maffei, Alberto Schon, Manuela Trinci, dell'antropologo Massimo Canevacci, del geografo Franco Farinelli, dell'artista Massimo Kaufmann, del musicologo Carlo Migliaccio, dello scrittore Raul Montanari, dell'esperto di biodiversità Andrea Pirovano, di Giorgio Ieranò e Franca Parodi Scotti, esperti di teatro e retorica antica. Che cosa è e cosa ha da dirci il silenzio? Nelle scuole di retorica antiche il corretto uso della pausa e del non detto erano elementi caratterizzanti dell'abilità oratoria (ancora oggi). Ecco che allora il silenzio non è un mezzo alternativo alla parola, ma complementare. E i registri e le funzioni che gli appartengono sono molteplici: attira l'attenzione, tiene legato il pubblico, dice delle proprie emozioni (afasia amorosa), aumenta le distanze generazionali, è esercizio di potere di chi non si abbassa a dire, di chi vanifica il discorso dell'altro. Poi c'è il silenzio del ritegno, della parola trattenuta perché impronunciabile, ma c'è anche il silenzio che orna per sottrazione: perché c'è maggior bellezza nel togliere che nell'aggiungere. Il silenzio della suspence, quello del segreto non detto. E poi c'è il silenzio maieutico. Come una levatrice il maestro ascolta, un ascolto attivo il suo, ciò che ha da dire l'allievo nella sua crescita di conoscenza e consapevolezza. Anche lo psicanalista attende, in un silenzio che non giudica, lo schiudersi dei segreti dell'"io" del paziente. Il vuoto da consistenza al pieno, l'assenza di rumore definisce il suono. Spazio mentale prima che acustico, in quest'epoca in cui l'assedio verbale è la norma, il silenzio è un maniglione antipanico da spingere per raggiungere una via di uscita.