DOSSIER
come, quando
e perché
abbiamo bisogno
di silenzio
Nella vita a due, con i figli, con le persone cne fanno parte del tuo mondo, ci sono situazioni in cui è importante tacere. Ti insegniamo a dare valore alle pause, alle parole non dette, alle frasi trattenute. Con due risultati: migliorare la comunicazione e accrescere il tuo carisma
di Cristina D'Antonio
quando
le parole non servono
Sei buoni motivi che dimostrano come, a volte, il silenzio sia un vantaggio. Con gli amici, sul lavoro, durante una festa.
A tanti fa paura. Molti non lo
capiscono. Per alcuni è una necessità,
È il silenzio. Che, in certi casi, è
l'unica risposta possibile. Ma è anche
un'occasione per concedersi lo
spazio mentale giusto per riflettere.
Perché tutti, circondati da un
costante e spesso inutile chiacchiericcio
(quante volte ci capita di ascoltare
qualcosa di veramente interessante?),
martellati da e-mail e sms,
inseguiti dai rumori fin dentro casa,
sentiamo la necessità di
prenderci una pausa. Oppure
vorremmo concederci il lusso di tacere,
anche quando potremmo fare
altrimenti. Ma, con gli altri, non è
sempre facile farlo. Per cortesia.
Oppure per timore di essere giudicati o
incompresi. «Eppure anche il
silenzio è una forma di comunicazione»
rivela Massimo Canevacci,
docente di antropologia culturale
presso la facoltà di Scienze
della comunicazione dell'università La
Sapienza di Roma. «Ha una sua
grammatica precisa, codificata e,
addirittura, anche più loquace
di tante parole». Vediamo allora, con il
suo aiuto, quante cose possiamo
dire, semplicemente stando zitti.
Per non dire ovvietà
Hai dato un passaggio a un collega, sei a pranzo con eli amici o in treno con tua madre. E. improvvisamente, ti ritrovi a reggere tutto il peso della conversazione, finché ti accorgi che stai parlando solo tu. E ti senti in imbarazzo.
«A questo punto, si crea un silenzio "pesante", che produce incertezza: abolite le parole, non sappiamo come reagire. E ci chiediamo se l'altro tace perché non ha niente da dire, per nasconderci i suoi pensieri, oppure perché è a disagio o arrabbiato. Ma non solo: il silenzio crea un'intimità che, se ci si conosce poco, può mettere a disagio. Restano gli sguardi, i gesti. E la presen- i za di un altro, quasi ingombrante nel suo mutismo. Se ci si conosce poco, insomma, ci si può solo adeguare, in silenzio, alla situazione».
Di fronte agli sciocchi, esiste un solo modo
per rivelare la propria
intelligenza: non parlare con loro.
Arthur Schopenhauer, filosofo (Aforismi sulla saggezza del vivere)
Per attirare l'attenzione
Gli insegnanti lo sanno bene: se la classe è distratta, più che alzare la voce, serve tacere.
Il silenzio è un'arte: bisogna saperlo usare. Basta pensare che, nell'antica Grecia, nelle scuole di retorica veniva insegnato anche l'uso del non detto. Perché un abile oratore doveva saper sviluppare sia l'eloquio sia il suo contrario. «Pensiamo a chi è invitato a tenere una relazione. Tutti si aspettano che comunichi a parole e che tenga avvinta la platea con la sua voce. Lo stabiliscono le regole. Ma è quando si zittisce che gli spettatori, di colpo, diventano vigili. Avrà finito? Mi sono distratto? Avrà posto una domanda? Dove vuole andare a parare? Ed ecco che il pubblico pende dalle sue labbra».
Per riflettere
Le giornate sempre più frenetiche lasciano poco spazio per pensare. Crearsi un po' di vuoto attorno, e dentro di sé. rigenera la mente.
«Tacere aiuta a farsi le domande più profonde» continua Massimo Canevacci. «Come potremmo farlo, altrimenti, se siamo assordati dalla nostra stessa voce? Non a caso, ci si raccoglie nel silenzio quando ci si rivolge a Dio. Ma, anche secondo la filosofia zen, il silenzio è l'unica via possibile per liberarsi dalla trappola della vita. Chi fa meditazione, per esempio, si pone in uno stato di concentrazione assoluta, per svuotarsi da tutto: opinioni, emozioni, conoscenze, desideri, bisogni.
E per aprirsi a un modo nuovo di essere. Non miravano a tanto i detenuti del carcere di Pisa quando, nel 2002, hanno indetto una settimana di sciopero della parola. Eppure, alla fine dell'esperienza, hanno commentato: "A furia di star zitti vengono dei pensieri, dei ricordi. Delle intenzioni. E sembrerà strano, ma si sta più in compagnia". Basta ritagliarsi dieci minuti al giorno tutti per sé: isolarsi in camera da letto o concedersi un bagno rilassante in perfetta solitudine, per ripensare alla giornata. E riflettere sulle proprie emozioni, sui problemi aperti e sugli episodi piacevoli».
Per sedurre
Sei stata invitata a una cena e conosci qualcuno che ti colpisce subito. Come puoi farti notare? Ciascuno ha la sua indole, ma il silenzio è sempre un'arma vincente.
«Quando si tratta di apparire, il silenzio aiuta: è il cosmetico che mimetizza la noia e può far apparire chiunque una persona interessante. Chi non parla, infatti, lascia intendere di possedere un'intelligenza superiore: come smentirlo? Certo, non se si fa scena muta. Ma restare abbottonati, non svelare troppo di sé, presentarsi come buoni ascoltatori, è sempre un atteggiamento che seduce. Soprattutto se lo adotta un maschio: le donne vengono sempre catturate da un uomo di poche parole e cominciano a elucubrare: "Chissà cosa sta pensando, forse ha bisogno di aiuto"». Perché non farlo anche noi?
Per non ferire
Dalla collega che ti chiede «Ti piace il mio nuovo cappotto?» fino all'invito che vorresti rifiutare senza accampare scuse: in certi casi, essere troppo espliciti non paga. Meglio puntare sulla diplomazia.
Il silenzio si declina in tanti modi, anche con l'aposiopesi, la figura retorica che indica la reticenza. Ne parla il libro
Riscoprire il silenzio a cura di Nicoletta Polla-Mattiot (Baldini Castaidi Dalai, 14,40 euro). Fra gli autori di questo saggio ci sono Massimo Canevacci, Alberto Schon e Manuela Trinci, i tre esperti che abbiamo interpellato in queste pagine. E a proposito del tacere per delicatezza, Canevacci dice: «Si tace per buona educazione. Si glissa per cortesia, dimostrando di saper stare in società. Ma si sceglie la cautela anche quando si rischia di dare un brutto colpo, come capita a chi fa il medico. H silenzio è spesso una forma di cautela. Talvolta di estremo riguardo. Succede nel lutto. Ci sono persone che sfuggono al contatto con chi lo ha subito perché non sanno cosa dire. Ma, in certi casi, basta la vicinanza silenziosa».
Per non litigare inutilemente
Può essere la politica o lo sport: alcuni argomenti rischiano di accendere la miccia. Fino a farci litigare. C'è una soluzione: tacere.
«Si comincia normalmente, poi si tende ad alzare la voce, con le parole che si rincorrono nel tentativo di convincere l'altro della bontà delle nostre idee. È un errore: meglio il silenzio, piuttosto che un discorrere che si avvita su se stesso. In cui, più si aggiungono parole, più si sottolineano gli elementi di distanza. Per sbloccare la situazione, è utile tacere: non per resa, ma per rispetto, per sé e per l'altro. Un modo per sospendere le ostilità e per ragionare, cercando nuovi elementi razionali per spiegare la propria posizione».
L'arte più necessaria non è parlar bene, ma saper tacere.
Voltaire, scrittore e filosofo (L'Indiscret)
se la coppia non parla
Non è vero che lui e lei devono parlare in continuazione. In amore contano anche i silenzi. Basta distinguere quelli buoni da quelli cattivi.
«Le donne si lamentano che gli uomini
non parlano, gli uomini che le donne
parlano troppo. Le prime tacciono per
esprimere la loro sofferenza, i
maschi, invece, per tradizione culturale.
Come gli eroi, al verbo preferiscono
l'azione». Alberto Schon è medico,
neurologo e psicanalista. A lui abbiamo
chiesto di spiegarci se il silenzio,
nella coppia, è indice di crisi o. al
contrario, segno di complicità. «Come
diceva Sigmund Freud, il padre
della psicanalisi: "Se le labbra restano
mute, parlano le dita". Insomma,
basta che lui inarchi un sopracciglio
perché lei capisca cosa sta pensando.
Ma, è vero, in una coppia possono
esserci tanti tipi di silenzio. Alcuni più
pericolosi di altri». Eccoli, uno
per uno. E quello che significano.
L'amore
è anzitutto un ascoltare in silenzio.
Antoine de Saint-Exupéry, scrittore (Poesie)
1/Per sintonia e delicatezza
Può capitare al ristorante o al cinema, prima che inizi il film: ci sono coppie che parlano fitto fitto. Altre che non scambiano una parola per tutto il tempo. «Possono funzionare entrambe» spiega Alberto Schon. «Nel secondo caso, le parole non servono. Perché molte cose sono state dette in precedenza e non c'è bisogno, quindi, di ribadirle. Ci si può concedere il piacere di restare muti, mantenendo una perfetta armonia. Altre volte, poi, il silenzio deriva dai sentimenti positivi che si provano per l'altro. Scivolare piano fuori dal letto, o muoversi per casa senza far rumore perché l'altro dorme, per esempio, sono modi per comunicare un messaggio di affetto, attenzione, rispetto per l'altro».
2/Per litigare
"Hai preso tu la posta?": oppure: "Hai spento la luce della cantina?". L'altro non risponde. «È un modo per punire il partner con il proprio disinteresse, la ripicca infantile per una discussione lasciata in sospeso. In questo caso, insomma, quella del silenzio è la via scelta per ferire, per sottolineare che si è offesi, o per offrire il pretesto per una nuova lite. Può succedere e, in genere, non bisogna farne un caso: sbollita la rabbia, l'altro ricomincerà a parlare. Ma se il non detto diventa insopportabile, bisogna mettersi d'impegno. E porre le domande giuste per capire le ragioni del mutismo».
3/Per disprezzo
In alcuni casi, il silenzio nasconde un giudizio. Per esempio: "Non ti parlo perché non sei all'altezza, non mi capisci e abbiamo interessi diversi". «Un'implicita accusa di inadeguatezza che, in coppia, è sempre un'arma a doppio taglio. Chi accusa, o sottolinea pesantemente alcune mancanze, ha commesso per primo un errore: ha ignorato differenze e difficoltà che, forse, potevano essere colte fin dall'inizio. Adesso la sua delusione si abbatte sul compagno (o sulla compagna). E lo ferisce, con un accanimento che è dovuto alla perdita di stima. Per entrambi, recuperare il rapporto è difficile. È sbagliato accanirsi contro un partner che non si stima più: meglio chiudere».
4/Per insofferenza
In altri casi, invece, il non detto nasconde rabbia e delusione. E parte dalla sensazione che l'altro non ci presti abbastanza attenzione. «Così tacere diventa una forma di ritorsione: "Se dai segno di non ascoltare, e continui a non capire, allora con te non ci parlo". È una rabbia che nasce spesso dall'incapacità di comprendere a fondo i limiti dell'altro, unita al desiderio di essere sempre al centro dell'attenzione» spiega Alberto Schon. «Ma, in questo caso, il silenzio non è utile, perché rischia solo di creare una distanza sempre più grande. La diversità, invece, può essere interessante: se le differenze non sono tali da rendere la relazione un campo di battaglia, la coppia può farne un punto di forza. Diventando davvero complementare». C'è poi una versione intermedia. Quella di chi pensa: "Avrei delle cose da dirti, ma le prenderesti male e allora mi astengo". In questo caso, chi tace lo fa perché ha già emesso un giudizio: lui (o lei) è incapace di tollerare una critica. «Ma la situazione, per quanto brutta, può essere recuperabile» precisa Alberto Schon. «Si tratta di rinegoziare le aree di intesa, puntando sulla tolleranza e insistendo, anziché sui difetti, sulle doti del compagno».
5/Per lasciarsi
Ecco il silenzio peggiore per una coppia, il più definitivo: lui e lei non si parlano perché non hanno semplicemente più niente da dirsi. «Triste. Ma succede. E si tratta di un'afasia che nasce dalla mancanza di interesse e di amore. Come se si pensasse: non ti voglio più bene e, quindi, non ho nemmeno voglia di parlarti. Insomma, si smette di parlare perché è tutto finito. Un problema che può presentarsi anche dopo vent'anni di matrimonio. Solo che, all'inizio, incalzati dalla quotidianità, è difficile rendersene conto. Oppure si cerca di nascondere la verità anche a se stessi, magari moltiplicando inviti a cena o impegni che limitino al massimo i momenti in cui si sta da soli: anche questa è una forma di silenzio, benché coperta dalle parole delle persone esterne alla coppia». Presto o tardi, però, la mancanza di dialogo è destinata a diventare sempre più palpabile. Finché diventa necessario affrontare la realtà. E, se non si può recuperare, decidere di dirsi addio.
Le domande da non fare
«Ammettiamolo: gli uomini sono più silenziosi e, soprattutto, non dicono tutto alle loro compagne. Per natura, hanno bisogno di tenere una sfera tutta per sé. Ma lei non dovrebbe prendersela se lui evita di rispondere a certe domande» afferma Giancarlo Nivoli, direttore della clinica psichiatrica dell'Università di Sassari. «Ci sono argomenti che, se non emergono in modo naturale, non andrebbero sollevati. Domande come: "Perché mi hai sposata?" o "A cosa pensi quando facciamo l'amore?" o "Cosa facevi con la tua ex?" lo fanno sentire sotto esame. E, sapendo che dovrà pesare con attenzione ogni risposta, cercherà di sottrarsi. Ma è diritto di tutti non svelare le emozioni più intime o i dettagli degli amori precedenti».
perché tuo figlio rifiuta il dialogo
C'è un periodo in cui l'intesa si interrompe. Niente panico. Per lui è vitale. Come per te un tempo.
Sbattono le porte. Rispondono con
un'alzata di spalle. Mugugnano a
tavola. E poi si attaccano al telefono,
parlando con tutti tranne che con
te. Sono gli adolescenti. Fino a ieri,
adorabili e paciocconi, ti raccontavano
tutto. Oggi, invece, non si aprono
neanche sotto tortura. «È vero, a volte
si stenta a riconoscerli» ammette
Manuela Trinci, psicoterapeuta e
membro dell'Associazione europea di
psicopatologia del bambino e
dell'adolescente. «E si fatica ad accettare
i loro silenzi, le risposte vaghe, le
risposte a monosillabi. Ma si tratta di
una fase normale». Con l'aiuto di
Manuela Trinci, cerchiamo di capire
quando è necessario, per un genitore,
non fare domande. E accettare il silenzio
senza, però, sentirsi in colpa.
Capita di dover tacere per essere ascoltati.
Stanislaw Jerzy Lee, poeta (Pensieri spettinati)
Silenzioso ma solo in casa
Sembra succedere all'improvviso. Senti tuo figlio distante, lui evita le domande, oppone resistenza a parlare di sé. È scontato tutto questo? «È un atteggiamento tipico di chi ha tra i 13 e i 17 anni. Con una distinzione fondamentale: ragazzi e ragazze smettono di parlare, ma solo in famiglia» spiega Manuela Trinci. «Succede perché mamma e papa non occupano più un posto centrale e vengono sostituiti dal gruppo, dall'amica del cuore. Le confidenze, i sogni, i giochi, le riflessioni diventano un patrimonio esclusivo del gruppo di coetanei. Chi ha figli lo sa: ragazze e ragazzi passano ore a scambiarsi e-mail e sms, in una continua ricerca di contatti verso l'esterno». Quando l'adolescente sposta la sua attenzione verso l'esterno, i genitori vacillano. Sentono di perdere un ruolo che conoscevano bene. Il "bambino", di cui sapevano tutto, replica alle sollecitazioni con aggressività, a volte con strafottenza. «Anche se è difficile, è bene che mamma e papa rispettino i suoi silenzi, senza però smettere di parlare con lui, raccontandogli la propria giornata o coinvolgendolo nelle decisioni che riguardano tutta la famiglia» suggerisce Manuela Trinci. «Senza dimenticare che i silenzi di un adolescente sono un modo, seppure scomposto, di crearsi uno spazio personale, di ergere una barriera fra sé e gli adulti, di arginare un padre e una madre che cercano di risucchiarlo dalla loro parte. Loro vogliono crescere».
Parla solo quando ha bisogno
Una delle lamentele più comuni dei genitori? Il figlio (o la figlia) parla solo quando ha bisogno di qualcosa. «Interroghiamoci: che tipo di conversazione abbiamo con loro?» si chiede Manuela Trinci. «La più diffusa è quella che si basa sui fatti: "Hai fatto i compiti?"; "Con chi esci questo pomeriggio?"; "Perché ti metti sempre il solito maglione?". È necessaria, ma non basta. Ci vuole anche la comunicazione ulteriore. È altrettanto importante chiedere: "Ho notato che sei un po' svagato: sei per caso innamorato?"; "Che cosa ti piace di più seguire a scuola?". Per mantenere un dialogo non bisogna mirare a sapere tutto, ma dimostrare che ci saremo quando, e se, ce ne sarà bisogno». Vietato, quindi, origliare alle porte e al telefono o, peggio ancora, leggere di nascosto il diario: «II timore di un problema, dall'anoressia alla droga, è umanamente comprensibile, ma non giustifica il mancato rispetto dell'intimità dell'adolescente. Di fronte al silenzio dei figli, rinunciamo all'intrusione e ascoltiamo piuttosto le nostre personali voci ulteriori: di cosa abbiamo davvero paura?». E poi impostiamo il dialogo in modo semplice. «Davanti a un figlio restio alla confidenza, un genitore può essere, lui per primo, sincero. E dirgli: "Ho paura quando vai in discoteca, se non so con chi sei e cosa farai". La risposta non sarà magari immediata ma, prima o poi, il ragazzo parlerà. Se invece si decide di forzare il silenzio, bisogna armarsi per affrontare lo scontro e correre il rischio di non piacere ai propri figli. Se si sceglie questa strada, non resta che mostrarsi forti: "Non mi rispondi? Allora non esci per i prossimi due mesi". In questo caso, non va persa l'autorevolezza».
Un'alternativa allo scontro
Silenzi ostinati e musi lunghi sono modi che servono a esprimere la rabbia, lo strumento che serve ai ragazzi per uscire dal mondo desii affetti familiari e stabilire un contatto, via via equilibrato, con il resto del mondo. Ma la loro ostinazione, a volte, è così provocatoria che è difficile non reagire. «Eppure, in questi casi, mamma e papa dovrebbero riuscire a tacere» consiglia Manuela Trinci. «Raccogliere la provocazione e iniziare una lotta verbale in cui lui (o lei) deve lasciare al genitore l'ultima parola, infatti, è una fatica inutile e controproducente. È meglio mantenere un atteggiamento distaccato, senza però perdere autorevolezza». Facciamo un esempio. Spesso un adolescente con la faccia storta sta facendo pagare a noi il litigio con la sua ragazza.. Che fare? «Ribadire» sostiene l'esperta «che nella vita ci sono cose che fanno male, ma passeranno. Ed è ingiusto prendersela con il primo che passa. La madre, o il padre, appunto. Che non ha altra scelta: può solo mettere un po' di distanza ed evitare lo scontro».
Un mèntore a scuola o in famiglia
I ragazzi non si perdono. Vanno solo alla ricerca di una terra nuova. E sapersi fare da parte, lasciando spazio a un eventuale mediatore (uno zio, l'insegnante con cui hanno stabilito un buon rapporto a scuola), insomma qualcuno che parli con loro al posto di mamma e papa, può risultare una soluzione vincente. Aiuta anche ricordarsi come si era a quell'età. «Purtroppo un adulto tende a dimenticarsene, pensando che "ormai i miei figli sono grandi". Ma gli adolescenti danno da fare molto di più di quando erano piccoli. Questo, però, non deve spaventare. Si chiude in camera sua? Cerchiamo di capirlo. La sua stanza è un'area molto privata, che si può violare contrattando l'accesso di volta in volta. Nella sua stanza, e nel silenzio, un ragazzo si ritrova. Mentre tace, pensa. Sperimenta la capacità di stare anche da solo, fuori dal gruppo. Si riconcilia con se stesso. E recupera le forze per affrontare il domani».
Non permettete alla lingua di oltrepassare il pensiero.
Anton Cechov, drammaturgo (Racconti variopinti)
II senso di colpa è in agguato
Il 51 per cento dei genitori italiani ha con i
figli un rapporto abbastanza difficile,
soprattutto per la difficoltà a farsi ascoltare
e, quindi, rispettare (vale per il 41 per
cento degli intervistati). Lo sostiene una
ricerca sull'Educazione nel terzo millennio
elaborata da Demoskopea per conto di
Henkel Italia. I problemi di comunicazione si
accentuano quando i figli hanno un'età
fra gli 11 e i 14 anni: è in questo periodo
che nascono gli scontri più accesi. Per un
terzo dei genitori, poi, risulta sempre più
difficile trovare il tempo di parlare ai figli e
di trascorrere del tempo con loro. E un
ragazzo chiuso nel suo riserbo può suscitare
in famiglia dei sensi di colpa. «I genitori,
oggi, lavorano molto, devono far fronte a
tanti impegni ed è facile che i figli diventino
i tiranni della loro esistenza» spiega
Manuela Trinci. «Il segreto è di restituire ai
ragazzi le loro responsabilità. Adulti e
adolescenti sono diventati troppo amici: si
parla tanto e non sempre è utile farlo».
cosa puoi fare in silenzio?
In un bosco, in viaggio, all'ora dell'aperitivo, in una palestra dove si praticano tecniche orientali. Sei idee per riassaporare il piacere del silenzio.
1/Ascoltare
Antonio Arpini, titolare della cattedra di Audiologia dell'Università di Milano, ha portato alcuni giovani in una riserva naturale e ha chiesto loro cosa sentivano: nulla. Il loro udito, assalito fino alla nascita da rumori oltre i 70 decibel, non ha mai memorizzato suoni inferiori. Con un po' di esercizio, i ragazzi hanno scoperto un universo parallelo. Cerca un bosco, fermati e abituati ad ascoltare la vita che racchiude.
2/Divertirti
A Parigi il cocktail del momento si chiama Slowly: a base di camomilla e valeriana, viene servito all'ora dell'aperitivo a Le Tanjia (23, rue de Pònthieu) e va sorseggiato senza proferire verbo. Qui, come a le Nirvana Lounge (3, avenue Matignon), ogni settimana si tengono le l feste del silenzio: incontri dove è vietato, appunto, parlare. A numero chiuso, j ci si iscrive on line: www.quiet-party.com
3/Flirtare
L'antropologa Keith H. Basso ha svolto una ricerca tra gli Apache occidentali di Cibecue, in Arizona, per studiare le situazioni in cui quella comunità rinuncia formalmente alle parole. Nell'elenco figura il corteggiamento. Bisognerebbe ricordarsene e reimparare l'arte.
4/Meditare
Ai corsi di Vipassana, tra le più antiche tecniche di meditazione indiana, gli studenti devono osservare il "nobile silenzio" (del corpo, della parola, della mente) per una decina di giorni filati. Forse non si raggiunge subito la verità, ma sembra un buon sistema per allentare le briglie all'anima (www.viapassana.it).
5/Protestare
Il prossimo appuntamento è già fissato: il 13 aprile, negli Stati Uniti, si sperimenterà una giornata di silenzio contro la discriminazione e le molestie sessuali. L'iniziativa (www.dayofsilence.org) è delle associazioni gay, lesbiche e studentesche. Per un giorno, nelle aule scolastiche non volerà una mosca.
6/Viaggiare
Le ferrovie svizzere propongono i Ruheabteil, gli scompartimenti della tranquillità. Dove è proibito conversare, chiacchierare al cellulare, parlarsi addosso. Quelle norvegesi, invece, stanno sperimentando i sedili SilentZone: un marchingegno nel poggiatesta annulla le onde sonore (www.silence.no).
La parola è chiave ma
il silenzio un grimaldello.
Gesualdo Bufalino
Da leggere
Quando il tacere diventa significativo:
dalla letteratura all'arte, dalla musica
alla psicanalisi, dalla geografia
all'antropologia, dal cinema al teatro.
Ne parla, con l'aiuto dì 11 esperti,
il libro Riscoprire il silenzio
(Baldini
Castaidi Dalai Editore, 14,40 euro),
a cura di Nicoletta Polla-Mattiot.