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Informagiovani n°1

Il suono del silenzio

"The sound of silence" cantavano Simon e Garfunkel nel 1969 ed è proprio così.
Nella civiltà dei suoni e delle immagini, della comunicazione e delle comunicazioni, della pubblicità e del marketing pensiamo al silenzio solo come negazione del frastuono e della confusione che ci stringono d'assedio. Ma al di là del rumore c'è qualcosa di più. C'è il suono del silenzio, un mondo da scoprire, o meglio, da riscoprire.

di Daniela Finocchi

"Si è molto discusso e scritto dei 'grandi silenzi' (mistici-estatici-emotivi), dei silenzi negativi (subiti o imposti), dei silenzi sintomo (di malattia o dolore), ma assai meno dei silenzi scelti - dice Nicoletta Polla Mattiot, autrice del libro Riscoprire il silenzio (Baldini Castoldi Dalai Editore) -; cercare una qualità volontaria e deliberata del tacere è un privilegio contemporaneo. Il mondo della comunicazione ha declinato fuori misura le possibilità di entrare in contatto, trasferire informazioni, dirsi, raccontarsi. Oggi siamo oltre i decibel, mentali e acustici, recepibili. L'alternativa, in termini di efficacia, la possibilità di farsi notare, è la privazione di qualsiasi suono, l'assenza di rumore".

■ Rumore, rumore
Dopo uno studio su un campione di residenti delle città italiane più rumorose (tra cui spiccano Roma, Napoli e Milano), l'OMS ha stabilito il limite del 65% di decibel per il giorno e 55% per la notte.
I rischi sono in agguato, perché la sensazione soggettiva dell'udito non è proporzionale all'aumento dell'intensità sonora. Una volta che vengono colpite, le cellule uditive scompaiono e non riescono più a rigenerarsi. Le sorgenti dell'inquinamento acustico sono innumerevoli. Il lavoro, per esempio: per l'Inail i lavoratori più colpiti dalla degenerazione dell'udito sono i metalmeccanici, i lavoratori edili, i minatori, i lavoratori del legno, i tessili, i chimici e i trasportatori. I sintomi del deficit acustico cambiano secondo la causa. L'esposizione a rumore continuo, come nelle fabbriche, provoca inizialmente effetti sfumati (semplici disturbi nella percezione di suoni ad alta tonalità, per esempio lo squillo del telefono). Nel giro di dieci anni, si passa all'incomprensione verbale, prima con rumore di sottofondo e poi anche in condizione di quiete acustica. L'esposizione a rumore, impulsivo (come quello delle discoteche), invece, causa un trauma acustico acuto caratterizzato da "ipoacusia con sensazione di occlusione auricolare e acufeni" (i tipici fischi alle orecchie). Generalmente questi sintomi sono transitori, ma possono diventare permanenti in casi di rumori impulsivi molto violenti.
Per gli uomini, così come per gli animali, il rumore è segnale di pericolo. Questo attiva tutta una serie di reazioni vegetative, umorali, motorie e psicologiche che hanno lo scopo di preparare all'attacco o alla fuga. Oggi esistono troppe fonti innaturali di rumore, che hanno intensità e durata insostenibili. Quindi, oltre ai problemi uditivi, i suoni eccessivi provocano disturbi nervosi, cardiovascolari, sessuali e al feto. Non a caso, la legge (nella maggior parte dei paesi occidentali) impone alle donne incinte l'astensione da lavori in cui il rumore ecceda gli 80 decibel. Un vero e proprio disturbo neurologico legato al rumore è la cosiddetta malattia dei sussulti (starile desease), per non parlare dell'insonnia che ormai colpisce il 30 per cento della popolazione occidentale.
Oltre il 60% del rumore che facciamo è inutile. "È un aspetto trascurato sia sul piano della progettazione dell'ambiente urbano sia nelle nostre abitudini - dice l'audiologo Antonio Arpini, titolare della Cattedra di Audiologia dell'Università di Milano, che ha organizzato i cosiddetti sentieri del silenzio, studiando un gruppo di giovani a contatto con la natura all'interno delle oasi del WWF -. I giovani non conoscono i segnali sonori naturali, perché fin dalla nascita il loro udito è bombardato da molti rumori, tutti insieme, che spesso superano i 70db. L'udito memorizza il livello sonoro a cui è esposto non permettendo all'orecchio di sentire i suoni naturali, si assuefa tanto che si crea una sorta di dipendenza, come quella di accendere la radio o la TV appena arrivati acasa. Inoltrec'è la tendenza a tenere il volume troppo alto, senza pensare che potenziando il suono non migliora la qualità dell'audizione, ma si riduce la capacità selettiva dei suoni. Importante è anche far risposare l'udito almeno 30 minuti al giorno. Infine, la bonifica ambientale. Non è necessario arrivare a imbottire porte e pareti, basta arredare facendo largo uso di tendaggi, tappeti e doppi vetri alle finestre".

■ Silenzio, si balla, si pensa, si viaggia
Tanti giovani che si agitano nel più assoluta silenzio. Si tratta di un "mutus party", il "rave muto" nato a Venezia che ha subito riscosso grandi consensi anche all'estero, Londra compresa, dove sono rimasti folgorati dal suo "valore concettuale". In effetti, è nato per esigenze di convivenza civile. "Venezia è una città dove si vive gomito a gomito - spiega Michele Brunetto del gruppo AttuAìamente, fautore dell'iniziativa insieme al Comune -dovevamo trovare una via di mezzo tra il nulla, dopo le 11 di sera, e il rumore. Così ci sono venute in mente le cuffìette". Una consolle, molte cuffie e il rave è fatto. Inoltre, possono agire contemporaneamente tanti dj diversi, offrendo ai partecipanti la possibilità di scegliere tra musica elettronica, etnica, revival o dance.
E poi ci sono i "quiet party" nati dall'idea di due giovani amici artisti, Paul Rebhan e Tony Noe, una sera in cui non riuscivano a trovare in tutta New York un locale dove poter stare in santa pace. Ora la moda si sta diffondendo in tutto ti mondo, Italia compresa. Si sorseggia qualcosa nella più assoluta pace, al massimo ci si passa messaggi scritti nelle "silent room" (rigorosamente con carta e penna, banditi gli sms naturalmente!), e arrivano anche ì "silent dating" dove i single possono conoscersi senza parlare (per saperne di più: www.quietparty.cosn).
Niente di nuovo per i francesi, che al business del silenzio avevano già pensato in pieno '68 con la catena dei Relais du Silence (oggi 265 alberghi distribuiti in dodici Paesi europei, di cui r5 in Italia). "Molto prima che l'ecologia diventasse una moda, noi abbiamo combattuto contro l'inquinamento atmosferico e sonoro - dice Margherita Forzutti, presidente dell'associazione con sede in Italia (www.relaisdusilence.it) -, Abbiamo decisamente optato per la qualità della vita, ricercando la clientela che preferisce il canto degli uccelli allo strid ore dei pneumatici ed i profumi della natura ai fumi dello smog". Gli alberghi, infarti, si distinguono per il rispetto dell'ambiente, la tranquillità che riescono ad offrire ai dienti, lo stile personalizzato, la gestione sempre familiare, il controllo periodico della qualità. Un relais non è mai uguale all'altro: case patrizie si alternano a manieri, castelli a fattorie, mulini ad antichi "alberghi posta" e chalets. Tutti diversi, ma tutti ricchi di fascino e di silenzio.

■ Taccio ergo sum
Ma c'è di più. Il silenzio può essere una vera sfida intellettuale: dalla letteratura alla musica, dall'arte alla psicoanaìisi, dalla pedagogia alla zoologia, alla geografìa. Come spiega Nicoletta Polla Mattiot, il silenzio può essere fonte di emozione, ma anche di potere (tacere una minaccia facendola intuire può essere assai più efficace). Così può sedurre o rendere migliore un discorso. Il neurobiologo Jean Pierre Changeux, nel suo recente saggio sull'apprendimento, spiega come "imparare" significhi soprattutto "eliminare". E ancora il "non detto" traccia la distanza tra ordinario e straordinario, basti pensare ai riti iniziatici e alla magia, al tema del "mistero", che così fortemente si salda a quello del segreto.
Non un solo silenzio, ma tanti silenzi quindi. Un silenzio che non si contrappone come antitesi alla parola, ma che con essa si integra, giocando un ruolo dinamico, essenziale. Tra i tanti esperti interpellati, anche l'etologo Andrea Pirovano, che illumina sul molo del silenzio nel mondo animale. Stare zitti in natura premia, sia le prede sia i predatori. La stessa strategia produce effetti opposti: i primi si salvano, i secondi riescono a catturare il pasto. Anche l'arte si mitre di silenzio, per muoversi, per crescere, per fermare un istante imperituro. Sino ad esaltarlo, come nella celebre opera di Alighiero Boetti composta da un telaio che incornicia vetri trasparenti e che si intitola "Niente da vedere, niente da nascondere". E che dire della potenza drammaturgica scatenata dal silenzio in teatro, sin dai testi di Eschilo?
Gli esempi, i collegamenti tra discipline diverse, le citazioni potrebbero continuare all'infinito. Meglio fermarsi allora, perché, come scrive Nicoletta Polla Mattiot: "A volte è semplicemente meglio tacere: per evitare lo spreco, per rivalutare le parole, anche le più comuni. Un apologo orientale contiene, pur senza darle, alcune spiegazioni: prima della predica di un maestro buddista, un uccellino iniziò a cantare, il maestro tacque e tutti ascoltarono in rapito silenzio, quando smise il maestro annunciò che la predica era finita e se ne andò".

LA porta CHIUSA
"Costruire relazioni di meraviglia" S.Natoli

il mondoattorno a noi spesso è grigio, monotono rna imprevedìbile, senza speranza, senza futuro. Siamo pieni dì paure e restrizioni, più propensi a conservare che a esplorare nuove possibilità. E nello stesso tempo più incerti, instabili, sempre in movimento e alia ricerca (alla conquista?) di una solidità che resta un desiderio, o un miraggio, diffuso.
di Aldo Ferrari Pozzato

Siamo immersi in un'atmosfera, morale e materiale, perniciosa. La nostra città ne è un esempio |non peggiore di altri. E gli interventi urbanistici per ora non sembrano in grado di rappresentare una svolta rispetto a questo stato di cose: sempre più spazi chiusi, mai che l'occhio possa riposarsi su uno spazio aperto, quell'infinito che è una necessità spirituale ma anche fisica. Le tonalità naturali dei prati, degli alberi e delle stagioni cedono il passo ai colori truccati degli edifici e delle luci artificiali. Eppure Torino ha un patrimonio di migliaia di alberi, chilometri di portici per passeggiare, milioni di metri quadri di parchi pubblici. Ma l'impressione resta quella di una erosione continua. Uno strato di polveri alifatiche si deposita sui nostri vestiti, dentro i nostri polmoni e nelle nostre anime. Ci viene difficile considerare interessante quello che abbiamo dentro noi e contemporaneamente quello che hanno dentro gli altri. Una delle due prospettive, "noi" oppure "gli altri" ci appare disperatamente priva di ogni attrattiva. A volte anche tutte e due. È come se fosse compromessa la fiducia nella possibilità di scoprire, di ritrovare in se stessi e negli altri quella profondità, quella solidità e quella continuità che di per sé non fanno parte del modo di essere che ci tocca condividere. Tutto è veloce, inafferrabile, indefinito, precario, provvisorio, temporaneo. Le relazioni che intessiamo ne sono uno specchio e una parte. I concetti di verità, giustizia, pace, speranza, equità, amore, solidarietà paiono adattabili a qualunque circostanza, senza una propria, almeno minima, sostanzialità.
Per noi tutto, in via di principio, è soggetto a spiegazione e riconducibile a delle leggi inesorabili, del tipo causa-effetto. Se qualcosa ci è oscuro è solo perché non abbiamo ancora ben investigato e concatenato i meccanismi che lo regolano. Quindi rutto, di per sé, è prevedibile, è solo questione di avere rutti i dati e le leggi necessari. E la libertà, le emozioni, la fantasia, la creatività, l'arte, le passioni, la vita? Se tutto è parte del meccanismo universale, nulla è davvero imprevedibile. E la nostra funzione di meraviglia si atrofizza. Il mio sguardo sugli altri diventa uno sguardo saputo, pronto a catalogare, a incasellare, a diagnosticare. Non è possibile lasciarsi sor- ' prendere e investire dalla novità. Che noia!
il mondoattorno a noi spesso è grigio, monotono rna imprevedìbile, senza speranza, senza futuro. Siamo pieni dì paure e restrizioni, più -propensi a con-servare che a esplorare nuove possibilità. E nello stesso tempo più incerti, instabili, sempre in movimento e alia ricerca (alla conquista?) di una solidità che resta un desiderio, o un rnii aggio, diffuso.
Ma anche: che sicurezza! E senza nessuno sforzo, al limite si tratta di non sbagliarsi a inquadrare l'altro. Una specie di anestesia ulteriore, molto comoda, ma anche molto riduttiva. Talmente riduttiva da portare, a volte, a non trovare più un senso per la propria o l'altrui vita. Per fare silenzio e poter cogliere con cuore rinnovato il mondo intorno è necessario chiudere la porta della nostra interiorità al fiume ininterrotto di irrilevanti distrazioni che il tran-tran quotidiano ci propone. Il silenzio è per l'anima quello che l'infinito è per lo sguardo: la possibilità di sprofondare, vagare, scoprire, ascoltare, stupirsi... Alle volte si tratta di chiudere anche una porta materiale. Silenzio vuoi dire potersi fermare. A A.RI.A. l'avventura vera e propria inizia quando la porta si chiude, quando per un'ora o quello che è, usciamo dal fiume impetuoso o stagnante, limpido o lutulento della nostra esistenza e ci fermiamo sull'isola ricavata dal gesto di chiudere una porta e rimanere con noi stessi. Non c'è più fretta. Come se cambiassimo pelle, o almeno abito mentale. Il vecchio Machiavelli stava all'osteria a giocare e disputare con i ghiottoni, vestito poveramente. Ma quando, a sera, andava nello studio e si immergeva nella sua altra più vera vita, i classici, si cambiava e si acconciava in modo più decoroso. Per me è così, spiritualmente. E non sempre è facile, perché il rumore di ciò che mi succede fuori dalla porta può essere insistente e ostinato. Fare silenzio è anche lavoro, disciplina e fatica. Ma è la condizione indispensabile per mettersi in ascolto, di me e di chi mi sta di fronte. Ascolto che è scoperta, come l'occhio che scorre sull'infinito e sul cangiante paesaggio. È lasciarsi sorprendere, vedere l'altro e la sua esperienza con occhi immacolati (beh, nei limiti del possibile), riuscire a far arrivare all'altro la nostra sorpresa, dargli la possibilità di ristabilire un rapporto con il proprio paesaggio intcriore: costruire relazioni di meraviglia.
Ed essere curiosi e sempre alla ricerca di noi, degli altri e del mondo è forse la funzione principale di quella adolescenza senza tempo, dell'anima, che nutre tutti i sogni e i progetti che ci danno ancora, nonostante tutto, una speranza.

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