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zoom n°4

Elegy of silence

Bruna Biamino, Maurizio Briatta, Enzo Obiso e Silvia Reichenbach
di Daniela Finocchi

Silenzio da ricercare, inseguire, imparare. Quasi un lusso, un privilegio contemporaneo di cui assaporare il piacere. Come? Lo spiega Nicoletta Polla Mattiot nel suo libro "Riscoprire il silenzio" (Baldini Castoldi Dalai Editore) che, grazie al contributo di tanti esperti, esplora i più diversi territori di applicazione del "non detto": dall'arte alla musica, dalla poesia alla natura. Ecco così, come una provocazione, l'opportunità di fare entrare il silenzio nel tessuto dell'oggi per ribaltarlo . Anche (fors e s oprattutto) nella fotografia. "La creazione artistica non può essere del tutto assertiva - spiega Massimo Kaufmann, pittore e critico d'arte, nel testo in questione — è disseminata di pause, percorsa dal silenzio, dilatata da sospensioni del senso. Creare significa saper ascoltare il suono che
produce la forma mentre si libera". Nella civiltà del rumore, del caos, della pubblicità e della telematica troppo spesso pensiamo al silenzio solo come negazione del frastuono e della confusione che ci stringono d'assedio. Ma c'è qualcosa di più. Il silenzio può essere una scelta, un modo alternativo per comunicare. "Possiamo pensare che un'immagine, proprio in quanto portatri-ce di un contenuto che è altro dal linguaggio — continua Kaufmann — sia solo e soltanto luogo del silenzio. La strategia operata dal silenzio nell'arte dunque non sarebbe altro che il suo accadimento, il suo giacere nel flusso del tempo e dello spazio". Si può imparare ad ascoltare con gli occhi. Lo sanno bene Bruna Biamino, Maurizio Briatta, Enzo Obiso e Silvia Reichenbach, che da anni si dedicano ad esplorare questo tema nella fotografia. Al di là di sensibilità e tecniche differenti, i quattro artisti piemontesi descrivono, infatti, un universo sottratto per un istante al rumore dell'esistenza. Tante, diverse visioni possibili alla ricerca dell'interiorità. Un lavoro sfociato nella collettiva "Silenzio della superficie" organizzata dalla Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino e diventato parte delle collezioni fotografiche del museo. "Si tratta di visioni lungamente meditate — spiega Riccardo Passoni nel catalogo della mostra - visioni rubate o rincorse per il mondo intero, o ancora debi-trici di una forte memoria culturale, non necessariamente legate ai modelli della modernità, indipendentemente dall'uso del colore e del bianco-nero". Bruna Biamino, per esempio, lavora sulla posa come elemento evocativo dando alla luce una parte da protagonista. Dalla casa al mondo esterno, sino ad arrivare ai recentissimi spazi industriali, la fotografa mostra l'anima spesso invisibile delle cose e ci rivela la sua interiorità. I legge-rissimi colori delle sue immagini mostrano "un paesaggio che sfugge, sfuma divorato dalla luce, perde i suoi colori nell'afa o nella nebbia, nel bianco, nel vuoto, ai limiti della percezione", come scrive Roberta Valtorta nel suo commento. Il colore diventa invece protagonista e prende il sopravvento nell'opera di Maurizio Briatta. Le sue immagini parzialmente o totalmente sfocate rivelano nuovi aspetti della vita quotidiana. La sua ricerca è quasi una meditazione che ben si percepisce nella serie "Interni". Allo stesso modo i suoi "Paesaggi" o i "Controluce" dimostrano proprio quanto ricordato da Nicoletta Polla Mattiot nel libro che induce a riflettere sull'importanza del silenzio e cioè che "vi è più ornamento e potenza nel togliere che nell'aggiungere, nella sottrazione piuttosto che nell'esubero". Sfuggendo alla tentazione della sovrabbondanza decorativa, infatti, Briatta pone le basi della sua invenzione creativa. Si passa quindi ai "frammenti di un tempo interiore" con gli scatti di Enzo Obiso. I viaggi, i luoghi, le persone incontrate vengono pensati, meditati, sognati prima di essere ricomposti in un'immagine. Anche nei suoi paesaggi esotici manca l'enfasi che normalmente accompagna la descrizione di questi luoghi: sono piuttosto racconti intensi che rappresentano un'altra realtà, più profonda e complessa di quella tangibile. "A differenza di tanta fotografia contemporanea - scrive Filippo Maggia nel commento alle immagini - gli scatti di Obiso non descrivono le veloci mutazioni e i vorticosi cambiamenti continuamente in atto intorno a noi. Egli lascia fluire il tempo affrancato da ogni riferimento con il mondo reale. Così facendo è il tempo stesso a regolare l'esperienza, a registrare l'armonia che sovrintende l'atto del vedere, di cui la fotografia altro non è che un gesto istintivo". La tematica formale delle immagini di Silvia Reichenbach, infine, ruota principalmente intorno a un corpo: il suo. La fotografa quasi se ne priva, sceglie l'inquadratura ma immagina solo il soggetto, giungendo alla rappresentazione di un'assenza fisica e mentale. Il silenzio è elemento fondante per le sue opere, a volte in modo esplicito come in "Autoritratto", a volte in modo più intimista come nella lunga serie di fotografie realizzate nel deserto. "In questo silenzio invadente — scrive Daniel Girardin, conservatore del Musée del l'Elysée di Losanna — il corpo è aspirato, immerso nella bellezza calma e tuttavia inquietante del deserto. La capigliatura diventa vegetazione, il corpo un semplice elemento dell'orizzonte grafico che forma il fondale di un dramma che traspare dalla messa in scena. Il talento di Reichenbach consiste nel far condividere questa esperienza esistenziale con dolcezza e commozione". In silenzio.

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YCD asd,
10 set 2009, 13:16