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linguamadre ed. 2008

L’ironico ribaltamento di un dramma epocale si stempera nella risata di un bambino ed ecco che in un istante i ruoli si confondono: chi sono gli indigeni, chi i conquistatori? Intanto, i diversi suoni della pioggia, del vento, del mare attraverso i continenti narrano di un legame con la natura vitale e irrinunciabile. E ancora la gioia di vivere, la musica, il canto, l’amore incondizionato per la famiglia contrapposti all’abbandono, al piacere fisico negato, a una migrazione sofferta, alla difficoltà di essere donna. Voci e colori che si affollano, si confondono, si uniscono in un unico abbraccio. Sono le storie di donne cinesi, ghanesi, argentine, brasiliane, keniote, nigeriane, cambogiane, indiane, rumene, polacche, albanesi, croate, serbe e di tante altre nazionalità che hanno partecipato alla Terza edizione del Concorso letterario nazionale “Lingua Madre”. L’Italia fa da sfondo con le sue trasformazioni e le sue contraddizioni. Questo libro è un invito all’ascolto. Una guida per ribaltare le prospettive. «Chi è lo straniero? – scrive Claudilélia Lemes Dias – Un insieme di no: non parla la nostra lingua, non ha le nostre origini, non impartisce la nostra educazione ai figli… Solo quando togliamo tutti questi no diventa uno di noi».

Gocce di ricordi (II premio)

di Fatima AHMED - CAMBOGIA

Ho sempre amato il rumore della pioggia: che sia sul tetto della casa, sull’asfalto, sui bidoni di latta allineati nel cortile, oppure semplicemente sulla punta dei piedi nei giardini pubblici.
E’ domenica mattina, e piove. Sono svegliata dal rumore assordante delle gocce sul tetto; trovo un grande piacere nel poter tirare su le coperte morbide fino al collo e guardare scorrere le gocce a rivoli sui vetri della finestra.
Avvolta nelle lenzuola mi sento protetta, nel minuscolo abbaino in cima ad un palazzo di dieci piani. Io che ho passato l’infanzia su una casa a palafitta, dove le gocce di pioggia e l’acqua del fiume si confondevano, durante la stagione delle piogge, e dove bastava sporgersi dalla finestra per poter vedere l’acqua tumultuosa, color fango, del fiume che si scatenava sotto il nostro pavimento. Al decimo piano tutto appare lontano, inafferrabile, è una dimensione nuova che mi inquieta non poco.

Nanà (III premio)

di Herrety KESSIWAAH - GHANA

Voglio, mi piace, sogno un mondo fatto di allegria. Amo essere allegra, sono Nanà, Herrety, Kessiwaah e molto altro. Sono il Ghana, sono di Kumasi, sono i miei quarant’anni sono i miei cinque figli. Adoro la musica, la vita, il canto.
Bambini per me, alberi e foreste, libertà di essere.
Sono i colori della mia bandiera, sono una Ashanti.
Il mio stool è bellissimo, è fatto con legno di  un albero, mi ci sono seduta diverse volte, crescendo. E’ un sedile bianco e sacro. Il Ghana… Il Ghana è per me la mamma, la terra che accoglie, che nutre. E’ una terra ricca e fertile. E’ una terra magica. Si respira la natura, e le cose belle che Dio ha creato. Alberi, uomini, animali tutti insieme, caffè, mango, ferro.

Sara

di Evgenia KNIAZEVA - RUSSIA

Uscendo dall’edificio mi fermai e feci alcuni respiri profondi per dominare il formicolio del nervosismo dovuto al colloquio. Poi mi diressi verso la macchina dove Giovanni mi stava aspettando. Dopo una valanga di parole da parte mia lui mi propose laconicamente: “Andiamo a Superga?” Mio marito è un uomo di poche parole e nel corso degli anni mi sono abituata e ho cominciato ad apprezzare questa sua qualità. Percepisco il suo tacito sostegno e mi sento libera di pensare alle mie cose senza creare disagio. 
Superga ci accolse con un po’ di vento e qualche goccia di pioggia. Nutro rispetto e ammirazione per gli antichi palazzi – forse perché ho trascorso la mia infanzia a San Pietroburgo, città intrisa di storia e di cultura, come un lieve tocco d’Europa in mezzo alla natura nordica. Ci rifugiammo sotto il pronao mentre la pioggia cominciava a tamburellare tutto intorno. Il panorama di Torino, con le sue bellezze architettoniche, si intuiva a malapena nel velo del vapore acqueo. Guardando a nord-ovest immaginai la casa dei miei suoceri e, non lontano da loro, il negozio di filati della mia amica Alessandra. E mi sentii profondamente grata a queste persone per la loro presenza e il loro affetto.

Odore di niente

di Doris OBADIARU - NIGERIA

Sento odore di niente.
Sono diffidente.
Mi trovo in carcere da qualche mese, le mura di questo ambiente non sanno di me, non sanno d’Africa.
Voglio uscire e sentirmi libera, sono Doris ed ho trentadue anni.  
Al mio paese vendevo e compravo merci. Sento questo mestiere ancora dentro.
Ho quattro figli che non vedo, il più grande ha  quindici anni e il più piccolo nove.
E’ colorato il mio nome, sa di padre, di coniglio, di voglia di vedere… di vedere il mondo, il mio nome … È  …

Capelli

di Lucia PANZIERI - ITALIA

Noi tutti, invece, l’avevamo presa tra di noi come una sorella, come una figlia nuova, ed eravamo molto affascinati dalla sua Africa, dai suoi silenzi, dal suo italiano che cresceva, da quando per la prima volta è andata in bicicletta. I vestiti africani che di volta in volta arrivavano, da parte di sua madre, riempivano di colori straordinari il mio armadio.
Poi è nata mia figlia: gli occhi lucidi e silenziosi nella penombra della mia camera da letto, Nana è rimasta più di tutti vicina a me senza dire una parola. Ricordo che tutti andavano e venivano, guardavano Chiara che dormiva tranquilla, raccontavano aneddoti di anni prima, cercavano le prime somiglianze. Lei no, stava accanto a me in un silenzio commovente, raro e perfetto, che era proprio una delle cose che in quel momento desideravo di più. Niente a che vedere con la sua prima visita, questa volta finalmente avevo visto la sua bellezza.
Quel silenzio, ho imparato da Nana. Quel silenzio, e i capelli. Nana se li pettina, se li allunga, li lega in cento treccine di perle, li raccoglie sopra la testa o li lascia lunghi sulle spalle, li profuma, li spalma di creme. Spesso tutto da sola, o con l’aiuto di un’amica africana. Io i capelli delle volte nemmeno me li asciugo; faccio la doccia, magari anche la sera tardi, ma per stanchezza vado a letto senza asciugarli. Il mattino accompagno i bambini a scuola con i capelli disordinati, legati in fretta mentre già esco di casa. Nana, invece, anche quando chiacchieriamo, accarezza i capelli di mia figlia, li pettina senza accorgersene, e mentre mi parla riuscirebbe a farle, anche senza guardare, almeno un milione di trecce. 
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